Dalle rotte di mare alle rotte di terra

Ci sono storie, semplici, piane, che si svolgono vicino a noi, che ci fanno anche capire chi siamo e da dove veniamo, e hanno molto da insegnare a chi verrà dopo; aprono la strada che va oltre i pregiudizi e alle idee preconcette e dunque avviano la nostra mente verso panorami più ampi e ci aiutano a ragionare.

Parlano di gente che ha avuto successo, partendo da molto in basso, dalla miseria, ma non ha mai dimenticato la fatica e i sacrifici.

Di questo genere è la storia di Adelmo Selvatico che guida oggi una flotta di sessanta dipendenti ma da giovane, dopo la 6^ elementare, già era nei campi a Porto Tolle (RO), nella zona della Pila, a raccogliere il riso presso le foci del Po; divenuto più grandicello, via in mare col papà a pesca con la rete. Molta gente non ne poteva più di quella vita infame e perciò emigrava in città per cercare lavoro in fabbrica; anche i fratelli del papà erano andati a Torino, alla fiat: stipendio tirato ma sicuro!

Fano 1983, Adelmo Selvatico con la sua barca presso il cantiere navale “Azzurra” (Foto Adelmo selvatico, San Bonifacio)

Loro però erano rimasti là, legati un po’ alla terra e assai più al mare, alla barca; anche trentasei ore filate lontani da casa: cielo-mare-gabbiani, niente altro; una vita diversa, fatta di grandi sacrifici, tanta fatica, qualche soddisfazione.

In Primavera seppie e canocchie, fino a Pasqua e oltre; in estate sogliole, triglie, cefali e sgombri; ovviamente allora le ferie non esistevano, solo qualche giorno occasionale, specie quando pioveva; in autunno gamberi, schile (un tipo di gamberi neri); in inverno marsioni e anguelle (aole di acqua salata), fino a marzo; poi il giro riprendeva: in mare di notte e al mercato ittico di giorno, a Chioggia, a Rimini.

Ma con quel lavoro non c’era futuro, gran parte del guadagno andava ai grossi commercianti di pesce e ai pescatori non riuscivano a consolidarsi, ed investire, ad ingrandirsi; mancavano i soldi, lo spirito imprenditoriale, le prospettive. Per fortuna durante il servizio militare a Bologna, col genio pionieri, aveva preso la patente la patente ed era diventato autista del colonello; infatti la fortuna ha il suo peso, certo bisogna saperla cogliere, ma guai credere che tutto dipenda dai nostri meriti!

Tornato dal militare verso il ’72, con la patente di guida in tasca, aveva detto chiaro ai suoi che quella vita non faceva per lui ed era venuto a Prova di San Bonifacio, da una zia  che lo aveva ospitato in attesa di trovare lavoro come autista; il primo Natale nel nostro paese lo passò proprio in quell’anno, da poco assunto dalla ditta Novarin, che commerciava quaglie e altri uccelli surgelati in tutta Italia, in Francia, in Germania, importandone in gran quantità dalla Tunisia via Genova.

Si lavorava, si correva, si faticava, di giorno e di notte, ma era abituato già, ed ora la pioggia non gli dava più tanto disturbo, salvo di notte, col riverbero dei fari, negli occhi; si metteva anche da parte qualcosa, così nel ’79 riesce a partire in proprio: il lavoro aumenta, ma anche le preoccupazioni e i pensieri: inutile negarlo, aumentano anche i guadagni, ma in pari misura i rischi. Nell’ ’83 aveva avuto un piccolo ripensamento ed tornato alla sua terra d’origine, anche perché era appena morto il papà, ma per poco tempo; l’anno dopo, per poco non si era visto costretto a piantare tutto: sulla superstrada di Lecco, dopo un panino veloce come cena, gli si presenta un tunnel; solo un rapido ripensamento: “Il cartello diceva tre metri e novanta, se non sbaglio!”, e dunque avanti: appena a metà un colpo tremendo: aveva battuto sopra e il cassone si era schiacciato e aperto; tutto il carico di alimentari surgelati era rimasto sparpagliato per terra. Aveva da poco comprato casa, ora bisognava pagarla, e il camion era distrutto! Ci fu chi lo aiutò, l’amico Orazio Ruffo di Arcole, un tipo taciturno e un po’ fatto alla sua maniera ma molto umano: gli prestò un camion e dei soldi permettendogli così di ripartire. Qualche anno dopo Orazio avrebbe subito un brutto incidente: mentre era fermo, un mezzo pesante che trasportava lamiere gli si inchiodava a fianco ma le lamiere, evidentemente legate male, entravano di slancio nella sua cabina troncandogli l’esistenza.

San Bonifacio 1972, nella casa dello zio, con il logo della ditta Novarin stampato sul petto. (Foto Adelmo selvatico, San Bonifacio)

Ma il nostro Adelmo è ripartito, prima col Conad del Veneto e dell’Emilia Romagna, poi col Sisa Padano, uno, due, tre camion, senza badare agli orari, senza mai rifiutare il lavoro, ed ora l’azienda conta quarantacinque automezzi, quarantadue autisti e ancora circa una decina di dipendenti; solo ora si ferma in ditta per governare la barca, fino a pochi anni fa andava anche lui, alla testa di tutti. Ora la sua storia è quella di chi ha avuto successo ma riconosce l’importanza della buona sorte e dell’aiuto degli altri, deve imparare a fare “il capo”, non chiuso dietro alla scrivania e barricato tra numeri e tabelle: “È difficile fare l’imprenditore, prendere decisioni… è meglio aver bisogno di un autista e far fatica per trovarlo, dover rinunciare a qualche viaggio e tenere il camion fermo perché non c’è chi lo possa guidare, piuttosto che essere costretti a lasciare a casa un autista, per la crisi, perché il lavoro cala… non è facile licenziare, anche psicologicamente… aspetti, tiri avanti, specie se sai che ha famiglia, il mutuo sulla casa, i figli che vanno a scuola… chi ha provato queste cose sa quanto possono pesare nell’equilibrio di una famiglia”.

1979, pausa durante il viaggio con il camion della ditta Novarin (Foto Adelmo selvatico, San Bonifacio)

Un’ultima annotazione: tra i suoi autisti, la gran parte, italiani, ce ne sono però anche di stranieri, romeni, qualche tunisino, un senegalese; in genere “bravi giovani, che sanno cosa vuol dire il sacrificio; a mezzogiorno, se possono, non si fermano al ristorante ma si fanno bastare un panino…”, proprio come lui quella notte dell’84 in cui rischiò di porre fine ai suoi sogni di mettersi proprio e di dare una svolta nella sua vita.

Tratto da: “Su e giù per i sassi del Trentino” di Gianni Storari

1979, Adelmo Selvatico in viaggio con il primo camion di proprietà, un Fiat OM 80 NC. (Foto Adelmo selvatico, San Bonifacio)